L’immaginazione può cambiare il mondo. Ricordando Gianni Rodari

di INSIDETHEWHALEAF517 - 23 Ottobre 2020

Molto spesso l’architettura viene raccontata con parole che sostituiscono alla complessità e singolarità della narrazione progettuale, etichette o frasi fatte che attribuiscono facili categorie interpretative sia tecnologiche, sia visuali.
Comunicare l’autenticità e l’intenzione di un progetto è, dunque, molto complicato, più di quanto le rappresentazioni verbali, ma anche i disegni e le fotografie non lascino trasparire.
Un’architettura parlante, nel senso letterale – che usa le parole – è, già di per sé, un fatto inconsueto.
Se poi le parole usate sono quelli di Gianni Rodari, l’architettura amplifica il dialogo alla scala urbana e sociale e diventa una permanente messaggio che alimenta l’immaginazione.
Per Rodari, di cui ricorre oggi il centenario dalla nascita, l’immaginazione è lo strumento più efficace per liberarsi da vincoli e gabbie mentali: Tutti gli usi della parola a tutti: mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.

 

Nella città di Casarza, in Liguria, il centro culturale per bambini, progetto di Alfonso Femia con l’artista Danilo Trogu, è un omaggio all’immaginazione attraverso l’architettura e le parole di Gianni Rodari.
Biblioteca, ludoteca e auditorium sono stati ricavati in un edificio storico – Villa Sottanis – di cui esiste una scarsa traccia documentaria, ma che si suppone risalga alla fine del 1600.
Avvolgere con le parole di Rodari il transito tra la memoria del passato – l’edificio – e l’emersione continua del futuro – i bambini (la nuova funzione) – è stata una scelta di fiducia nel potere dell’immaginazione.
Tra le parole preferite quelle della poesia “Storia Universale”

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Centro Culturale per l’infanzia di Casarza Ligure. Fotografia di E. Caviola

In principio la terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella faticata. Per passare i fiumi non c’erano i ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardar bene mancava anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C’erano solo gli uomini con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. Da correggere però ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti.

 

Rodari la scrisse nel 1962, quasi sessant’anni fa. Rileggerla, alla luce dell’evoluzione degli ultimi vent’anni e degli eventi dell’ultimo anno, potrebbe suscitare quasi il desiderio di riscriverla, con la consapevolezza di aver oltraggiato una terra – “sbagliata” perché non esisteva nulla – trasformandola in una terra inquinata e ingiusta.
E sono proprio i bambini ai quali si rivolgeva Gianni Rodari, che passano la maggior parte del tempo in spazi brutti e non funzionali.
Il centro culturale di Casarza Ligure è, invece, un bell’esempio di architettura per i bambini che mette in equilibrio l’interno con l’esterno (quanto mai attuale in questo tempo di pandemia), rispetta il valore della storia, crea percorsi e sorprese, bilancia la dimensione intima con quella collettiva. Per raggiungere questi obiettivi, in fase di progetto, si era scelto di rendere evidente l’impianto “quadrato” a villa, coerente con il nuovo uso, eliminando completamente il sistema distributivo che, storicamente, caratterizzava l’edificio all’interno.
La villa è un edificio dinamico, con una relazione continua tra lo spazio interno della biblioteca al piano terra con lo spazio pubblico esterno, armonizzato attraverso l’uso dei materiali (dalla pietra, alla resina, al legno, all’ardesia di copertura), riproducendo un parallello “stratigrafico” con la sovrapposizione delle funzioni.
L’ omaggio a Gianni Rodari si realizza nella facciata ovest e nella scala di sicurezza, un elemento molto spesso interpretato come disturbante necessità di servizio.
La scala del centro culturale di Casarza è, invece, l’elemento qualificante del nuovo progetto, tipicizzata da una monumentalità amichevole, incapsulata da una lamiera che reca incise le poesie di Gianni Rodari, con una interpunzione verbale in ceramica rossa, parole come piccole hub di approdo o di partenza della fantasia.

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Vista esterna. Fotografia di E. Caviola

Particolarmente oggi, abbiamo il dovere di ripensare tutti gli edifici e gli oggetti per i bambini.
i più grandi architetti dello spazio sono proprio gli studenti: quando i bambini entrano in un ambiente modificano lo spazio, spostando quello che possono governare fisicamente, cuscini, scatole, arredi leggeri. E modificando così lo spazio “creano mondi” (cit. F. Lorenzoni).
Dunque, nella scuola c’è la vocazione dell’architettura.

 

Ma l’architettura scolastica è la grande dimenticata del patrimonio edilizio nazionale, da più di trent’anni. L’anzianità delle scuole in tutte le zone italiane supera i quarant’anni per più del 60 per cento degli edifici e gli edifici costruiti negli ultimi dieci anni sono solo il 5 per cento. Oltre ai problemi di vetustà edilizia (strutturali, energetici e antisismici) e oltre al gap territoriale che riguarda il tema dell’infrastrutturazione digitale, c’è una necessità di adeguamento del concept dell’architettura alle esigenze delle nuove generazioni.

 

Scriveva la giornalista Anna Giorgia Bonazzi in Rivista Studio, all’inizio del 2017, molto prima dell’arrivo della pandemia, “nell’attesa che il futuro raggiunga per ultima l’edilizia scolastica, con le sue fibre pulite e le lucide visioni, i miei figli si accucciano giornalmente in bagni senza porte, come me da bambina in una provincia orientale, ma dentro una città (Milano) sempre più avveniristica, che nei giorni festivi li vede correre tra i getti verticali della fontana di piazza Gae Aulenti, o sotto l’opulenta torre dorata della Fondazione Prada; scannerizzare al computer veri denti di squalo al nuovo Mudec, e sfoderare il kit arancione di Arduino nell’aula di tinkering del Museo Leonardo; indicare stupiti il Bosco Verticale all’orizzonte, dopo aver lavorato la pasta madre nella trasparente aula didattica di Eataly, all’ex Teatro Smeraldo. (…) Come ho sentito dire ieri sera, dal protagonista/padre disastroso di una serie tv che mi appassiona: a forza di imparare dagli errori, fra tanti, tanti anni, qualcuno avrà finalmente un’infanzia perfetta.”

 

E sugli errori ancora le parole di Gianni Rodari

C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare, paesi ne vedeva di tutti i colori, di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi, di così così: e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto e ripartiva in quattro e quattr’otto.
C’erano paesi senza acqua, paesi senza vino, paesi senza paesi, perfino, ma il Paese Senza Errori dove stava,  dove stava?
Voi direte: Era un brav’uomo.
Uno che cercava una bella cosa.
Scusate, però, non era meglio se si fermava in un posto qualunque, e di tutti quegli errori ne correggeva un po’?

 

 

 

 

L’immagine d’apertura è tratta dal sito gruppoculturaunder14.wordpress.com