COS’È STATO FATTO PER L’ACQUA NEL 2021 OVVERO L’ANNO DELLE OCCASIONI MANCATE. (COME TUTTI I PRECEDENTI)

di ROBERTA DE CIECHI E ALFONSO FEMIA - 10 Dicembre 2021


Ci sono state, quest’anno, molte situazioni di dibattito, a partire dalla COP26 di Glasgow, in cui si sarebbe potuto parlare di acqua. Opportunità perse, perché si è quasi sempre trascurato il fondamentale tema dell’equilibrio e della connessione tra suolo, acqua e clima

 

Di cosa parliamo:

L’acqua entra in scena quasi subito, dopo 30 secondi, nel trailer del video di Make architects, studio di architettura inglese, realizzato per COP26.
È un’acqua alla Blade Runner, persistente, in una dimensione grigia e inquinata. Un’acqua negativa.

 


COP26, ARCHITETTI E POCA ACQUA

Il trailer parte in retrospettiva dall’ultimo decennio del secolo scorso, in un improbabile scenario para urbano, transita per un cupo 2017, mettendo in evidenza che, già quattro anni fa, l’emissione di CO2 era oltre la soglia di rischio, per arrivare a un 2021 in cui la pioggia inquinata diventa tratto distintivo di un paesaggio permanentemente allagato e impoverito. Si chiude con la cupa previsione di un 2030 in cui la superficie di tutti gli habitat naturali nel mondo sarà ridotta alla dimensione dell’Italia.

 

Oltre al video, Make architects ha progettato l’installazione “Fountain of Circular Recovery”, cuore del Padiglione Build Better Now, mostra immersiva in realtà virtuale, vetrina di idee per un ambiente costruito più sostenibile e di opportunità di trasformazione all’interno degli edifici, delle città e delle infrastrutture.

 

La geometria a forma di fontana è una trasposizione simbolica di come l’architettura possa contribuire a combattere il cambiamento climatico attraverso riduzione, riuso, recupero e riciclo dell’ambiente costruito, i fattori chiave dell’economia circolare.
La fontana dei Make architects è anche l’unico riferimento simbolico all’acqua.

 

Secondo Julie Hirigoyen, Green Building Council UK, le 17 opere presentate nel padiglione Build Better Now sono “una presentazione di soluzioni pionieristiche per il cambiamento climatico”.

 

Sebbene l’acqua sia considerata nella logica complessiva (riduzione, riuso, forestazione …) di ognuno dei 17 progetti, non emerge in modo diretto come presenza e relazione tra l’architettura e il territorio.

 

COP26 ha sviluppato anche un learning site di approfondimento e sulla relazione tra l’attività della Conferenza e l’architettura, la rivista Deezen ha intervistato alcuni grandi nomi della cultura progettuale inglese, alla vigilia e dopo la conclusione dell’evento. Aspettative e risultati a confronto: unanime la delusione espressa, ma neppure in queste riflessioni gli architetti hanno segnalato la mancata attenzione all’acqua.

 

 

Un ulteriore aumento del riscaldamento globale amplificherebbe il ciclo dell’acqua esasperandone la variabilità che significa estremi siccitosi e piovosi.

 

A COSA SERVONO LE CONFERENZE SUL CLIMA
E COM’È ANDATA A GLASGOW

Guardando gli impegni assunti in passato, dalla prima a Berlino alla COP21 a Parigi nel 2015 (e le successive a Marrakech, a Bonn, a Katowice, a Madrid) all’ultima a Glasgow quest’anno, le riunioni dei paesi industrializzati, quelli che fanno girare il mondo in termini economici, non servono a modificare seriamente le cose.

 

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Cosa serve fare oggi per raggiungere l’obiettivo nel tempo prefissato (2050, trent’anni)?
Vanno fatte funzionare le fabbriche, i trasporti, l’edilizia a emissioni nette zero.
Ammettendo che questo sia possibile, tutti i Paesi del mondo devono condividere tempi e scopi.

 

La COP26 è ripartita dall’Accordo di Parigi che imponeva di contenere l’aumento della temperatura sotto 2 gradi centigradi ed è arrivata a una risoluzione firmato da 197 Paesi, Il Glasgow Climate Act.

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Olafur Eliasson and Minik Rosing’s Ice Watch (2014) alla Place du Panthéon, a Parigi, nel 2015. Photo: Martin Argyroglo. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles © 2014 Olafur Eliasson. L’installazione era formata da 12 blocchi di ghiaccio, provenienti da un iceberg della Groenlandia. Il ghiaccio era stato raccolto in un fiordo e, con l’aiuto del geologo Minik Rosing, trasportato nella capitale francese e disposto in cerchio. L’inesorabile scioglimento dell’iceberg è una rappresentazione efficace e immediata del futuro del Pianeta.

 

Quasi 200 Paesi si sono impegnati a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi, migliorando il risultato di Parigi e a ridurre il consumo di combustibili fossili fino a ottenere, entro il 2030, un taglio del 45 per cento delle emissioni di CO2 rispetto al 2010, fino a zero emissioni entro il 2050. Entro un anno gli Stati dovranno aggiornare l’impegno di decarbonizzazione. Il presidente del summit, Alok Sharma, l’ha, però, definita “una vittoria fragile”.

 

Tempi e investimenti sono il vero cuore del problema: ogni Paese deve lavorare in fretta (zero emissioni entro il 2050) e mettere molti soldi (almeno 100 miliardi di dollari ogni anno).

 

Secondo il nuovo rapporto dell’Intergovernamental Panel On Climate Change (IPCC) – Climate Change 2021, i Governi si stanno preparando ad attuare piani molto al di sotto di ciò che è necessario per evitare un pericoloso aumento delle temperature globali. Il rapporto ha rilevato che molti governi non hanno ancora messo in atto politiche o leggi per raggiungere i loro obiettivi. L’Unione Europea, per esempio, ha proposto una nuova e radicale legislazione sul clima, pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 9 luglio 2021, in vigore dal 29 luglio 2021, che in parte deve ancora essere approvata da tutti i 27 Stati membri.

 

 

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Secondo Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, il rapporto IPCC è un “codice rosso per l’umanità.

Molto si è scritto sui risultati ottenuti e sulle aspettative disattese nella COP26: qui rimandiamo a uno dei report più chiari ed efficaci.

 

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LA QUESTIONE DEGLI ALBERI TRA G20 E COP26
ONE MILLION TREES, SENZ’ACQUA O CON TROPPO ACQUA

C’è questa cosa che è uscita dal G20 (il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi appartenenti al G20, con la presenza dei membri del G20, di alcuni Paesi invitati e dei rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni internazionali e regionali) di piantare 1000 miliardi di alberi entro il 2030: tutti d’accordo i “grandi” della Terra hanno deciso che sia questa la scelta migliore per intervenire “sugli ecosistemi più degradati del pianeta, sollecitando altri paesi a unire le forze con il G20 per raggiungere questo obiettivo globale entro il 2030 con il coinvolgimento del settore privato e della società civile”.

 

Diversamente, tra gli obiettivi dichiarati della COP26 c’è quello di ridurre la deforestazione, che è meno “usabile” come slogan di one million trees ma più coerente.

 

A cosa serve piantare 1000 miliardi d’alberi? è un’opzione ragionevole per combattere il cambiamento climatico? Occorrono meno slogan e più azioni ponderate e scientificamente verificate

 

Ferdinando Cotugno, giornalista inviato a Glasgow per Domani Giornale, autore di uno dei migliori report sulla Conferenza, afferma con efficace sintesi che la piantumazione degli alberi non è “la clausola di sicurezza per la decarbonizzazione. Parlare di alberi con questo peso è non vedere la scala del problema”.

 

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Soprattutto, viene trascurata la stretta relazione tra acqua e piante.
L’acqua è la materia essenziale di governo di tutto l’ecosistema ambientale.

Gli alberi funzionano come “fontane d’acqua”, secondo il criterio della traspirazione (assorbono acqua dal terreno e ne rilasciano la parte non usata nell’aria). Una foresta genera più umidità dell’evaporazione dei mari.
Negli anni Novanta, uno scienziato brasiliano ha messo a punto la teoria dei fiumi volanti: il vento trasporta l’acqua emessa dalle foreste in altre aree del pianeta. In questo modo si è dimostrato che il 40% delle precipitazioni globali proviene dalla terra, e non dagli oceani.
Esiste una sorta di dipendenza virtuosa tra piante e acqua.

 

L’acqua non è semplicemente la maggior sentinella, ma la protagonista, in una relazione di bilanciamento ed equilibrio con il suolo, nella conservazione dell’ecosistema ambientale.

 

 

Nonostante questo, si è parlato molto di alberi ma, replicando un efficace titolo de’ Il Manifesto “La questione dell’acqua è stata rimossa dall’agenda climatica”.

 

 

TEMPODACQUA ALLA BIENNALE DI ARCHITETTURA 2021
STUDIARE, COMPRENDERE, IMMAGINARE

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Dal laboratorio di ricerca permanente, ideato e promosso da Alfonso Femia nel 2019, è nato il testo omonimo, presentato in occasione della Biennale Architettura 2021 a Venezia. Il libro raccoglie e sintetizza i contributi più rilevanti della ricerca scientifica internazionale, seguiti da riflessioni progettuali su quali possano essere le vie del cambiamento. Edito da 500×100 Publishers.

 

L’acqua è una “materia in stato d’emergenza”, difficile e scomoda.

 

Raramente, al di fuori della comunità scientifica, si passa oltre la soglia delle argomentazioni mainstream – le alluvioni e l’acqua che manca, la plastica che inquina gli oceani e i tubi degli acquedotti vecchi che perdono.

Si comprende meglio l’acqua, quando se ne parla a partire dal suolo ed è proprio qui che si evidenzia la relazione tra acqua e architettura.
Nonostante l’apparente banalità, questa affermazione contiene tutta la complessità e le implicazioni della dimensione acqua e tende al concetto essenziale dell’eco-progettualità: l’equilibrio.
 
Durante la Biennale di Architettura di Venezia, in due sessioni distinte a luglio, nel Padiglione Italia e a ottobre, a Livorno, all’evento Scali Urbani, spin off della Biennale, Alfonso Femia ha chiamato a dibattere architetti, paesaggisti, ricercatori, attivisti e giornalisti intorno a Tempodacqua – progetto di ricerca attivo dal 2019 – con il focus ulteriore ad affiancare la relazione tra tempo e acqua: l’equilibrio.

ACQUA A PARTIRE DAL SUOLO

Serena Palermiti, geologa, ha ben delineato questo concetto: l’acqua è insieme la forza e la fragilità del territorio e sulla relazione tra acqua e terra bisognerebbe concentrare il massimo dell’attenzione, prima di attivare qualsiasi processo di trasformazione.
Ma le governance territoriali mettono in campo prassi operative miopi sia sotto il profilo ecologico, sia sotto quello economico: per esempio, non può essere efficace un intervento sull’area di foce di un bacino idrico senza preoccuparsi della situazione mediana e a monte. Eppure si lavora quasi sempre in questo modo, in urgenza, nelle zone dove ci sono centri abitati e, quindi, maggiori condizioni di rischio, senza considerare che il pericolo deriva da situazioni concatenate.

 

Dove c’è risorsa acqua, c’è anche rischio acqua e rischio terra, non si può affrontare il tema per comparti separati.

ALLENTARE LA PRESSIONE SULL’ACQUA

Proprio sull’equilibrio si è concentrato Alessandro Melis, curatore del Padiglione Italia.
Melis ha portato un esempio tanto semplice quanto efficace: “se posiamo un mattone a Venezia, gli effetti di questa azione “atterrano” come contributo negativo al processo di desertificazione del sub-Sahara”
Nell’entropia planetaria (che, semplificando molto, significa nell’apparente disordine) esiste un legame di relazione continuo tra i deserti e le fasce oceaniche, tra qualunque punto nella Terra e i suoi prossimi e lontani.
In questa lettura del rapporto tra acqua e suolo (che è la sola scientificamente corretta), l’architettura si innesta come detonatore di problemi.

 

Il costruito è l’esito di un secolare modo di intendere il progetto ancorato ai significati di ordine e razionalità.

Da qui la dissonanza tra entropia planetaria e architettura e la distanza tra pratica dell’architettura ed equilibrio dell’ecosistema.
L’equilibrio ecosistemico è una scoperta recente, anche semplicemente alla scala dell’edificio e urbana.

 

Alla scala planetaria l’equilibrio è un concetto non recepito perché pone in conflitto le economie regionali con i bisogni globali, gli appetiti immobiliari, industriali e finanziari con le necessità climatiche.

 

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Risulta chiaro come l’integrazione tra discipline diverse (e non ci riferiamo qui solo alle competenze ingegneristiche, impiantistiche, compositive, ecc) sia un fattore essenziale perché sostiene una progettualità in grado di ampliare la visione e di considerare le variabili e le invarianti ambientali.

 

Climatologia, fluidodinamica, biologia, agronomia saranno strumenti per superare i concetti di ordine e razionalità.
Ogni minima porzione di costruito che viene insediato sul suolo causa conseguenze che si aggiungono ai numeri già ampiamenti noti: l’edilizia genera il 44 per cento di emissioni di CO2, la mobilità il 33 per cento.
 

L’architettura è il mezzo ideale per creare condizioni resilienti al cambiamento climatico e l’acqua è l’elemento che mette a sistema l’insieme delle cose.

 

 

ACQUA COME ASSET IMMOBILIARE

Un’altra riflessione è relativa al tempo e ai luoghi. Il cambiamento climatico indurrà un grande numero di persone ad abbandonare le latitudini tropicali.
Ma anche in Europa e in Italia, si creerà una popolazione di migranti climatici, persone che lasceranno città e pianure divenute insostenibili per le temperature. In un articolo pubblicato in Pianeta 2020 (Corriere della Sera) nel 2019, si segnalava che “a margine di un convegno scientifico dell’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) del Friuli Venezia Giulia, si era parlato di possibili migrazioni interne verso le Alpi» già prima del 2050″.
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L’acqua sta in un’equazione di bilanciamento con il suolo ed è questo un fattore fondamentale nello sviluppo immobiliare a scala mondiale.

 

Secondo Andrea Ruckstuhl, head of Continental Europe Lendlease, l’attenzione all’equilibrio planetario investe la sfera della sostenibilità economica degli investimenti. I grandi progetti di rigenerazione urbana devono considerare gli aspetti ambientali e gli aspetti sociali in una proiezione di lungo periodo (la durata dei contratti pubblico/privato che si stipula con le Amministrazioni Pubbliche è di 99 anni), per programmare gli investimenti e la loro restituzione nel tempo.
Il blue and green asset è, in quest’ottica, di fondamentale importanza

Si lavora su quattro fattori: energia, bilancio vita e valore:

  • energia perché nella transizione energetica e climatica l’acqua ha una funzione di supporto all’interno di sistemi estremamente efficienti;
  • bilancio, perché i programmi devono essere proiettati nel tempo. Nei progetti intrapresi, Lendlease punta a net zero carbon entro il 2025 e all’absolute zero carbon entro il 2040. Non si tratta solo di un’attitudine virtuosa: come abbiamo già accennato, uno scenario pessimistico di rialzo di 5 gradi della temperatura nel 2090 vedrebbe Milano alluvionata in continuo. Dunque, il progetto anticipa un bilancio che considera la permeabilità, la raccolta di acqua piovana, la capacità di drenare e di gestire gli eventi straordinari che impattano sulla vita delle persone;
  • vita perché l’acqua è un contributore importante alla qualità di vita dell’uomo;
  • valore perchè l’acqua è un asset, dunque ha intrinsecamente un valore.

 

La visione della rigenerazione in termini immobiliari è vecchia e superata. Gli asset che sono in grado non solo di generare valore, ma di supportare l’investimento nel tempo, in una visione di qualità complessiva, sono green and blue.

 

VERDE E ACQUA IN SMART CONNECTION

Abbiamo visto che il pensiero proiettivo sull’acqua riverbera sugli scenari urbani e territoriali e nelle scelte urbanistiche delle città.
Se il grande tema della forestazione urbana, cavalcato da molte amministrazioni, è potenzialmente una opportunità di mitigazione degli effetti del clima estremo, è  necessario affrontare i progetti in modo differenziato alle latitudini e alle geografie, verificandone le previsioni climatiche nei prossimi venti o trent’anni anni.

Laura Gatti, agronoma, ha messo in evidenza l’importanza di un corretto approccio alla green solution.
Le aree urbane costituiscono il 3 per cento della superficie terrestre, ma generano il 75 per cento delle emissioni di carbonio e consumano l’80 per cento dell’energia che viene utilizzata prevalentemente per il raffrescamento degli edifici.

 

A cosa serve il verde in una scala urbana inquinata ed energivora?
Riequilibra il ciclo dell’acqua meteorica, consente una regimazione dell’afflusso delle acque piovane verso le reti di drenaggio urbano. Riduce il fabbisogno energetico degli edifici e le emissioni di CO2. Filtra le polveri inquinanti e incrementa la biodiversità. A queste oggettività scientifiche si aggiungono i benefici psicologici.

 

Spesso, però, non si considera la necessità di progettare oggi ecosistemi adeguati alle condizioni future. La proiezione deve essere pluri-decennale, non ha senso limitarsi alla valutazione delle condizioni di minima attuali.

 

Nelle scelte di piantumazioni, è necessario selezionare “nuovi” alberi adatti alle condizioni in mutazione perché il cambiamento climatico crea scompenso ai processi fotosintesici che sostengono i meccanismi di funzionamento degli alberi.

 

Alcune specie hanno sviluppato una vasta plasticità e tolleranza a una serie di condizioni ambientali, mentre altre si sono specializzate in specifiche tipologie di habitat. Di conseguenza, nella ricerca di specie e genotipi tolleranti nei siti urbani asciutti, le informazioni sulla strategia ecologica e le prestazioni di una specie in habitat diversi possono fornire indicazioni preziose.

 

Particolarmente importante la capacità di adattarsi quando non c’è acqua o ce n’è poca. Un deficit nella disponibilità idrica può essere evitato sia attraverso la massimizzazione della capacità di assorbimento dell’acqua, sia riducendone l’utilizzo. La massimizzazione della capacità di assorbimento dell’acqua può verificarsi tramite l’aumento dell’area assorbente (aumento dell’area radicale), aumentando così la conduttività idraulica delle radici, sviluppando un apparato radicale più profondo. Il verde non consuma acqua, ne fa un uso intelligente e restitutivo, lavorando in collaborazione con il suolo e con l’acqua stessa.

 

Per progettare la forestazione urbana, per selezionare specie autoctone o adattate serve anticipare i cambiamenti vegetazionali prevedibili, cioè controllare e accelerare le dinamiche naturali della vegetazione introducendo le “specie del futuro”.

 

In pratica, si applica un concetto di “migrazione assistita” del verde.
Sistemi di verde più esigenti consumano grandi quantità di acqua e, a causa dell’elevato tasso di evapotraspirazione, possono ridurre, nel tempo, la ricarica della falda acquifera come è accaduto a Los Angeles e a Cape Town, mentre la gestione efficiente delle aree nei bacini di captazione può migliorare la qualità dell’acqua (a New York City).

 

La conoscenza dei meccanismi fisiologici dei vegetali è componente essenziale per la progettazione di aree verdi che possano conservare alti servizi ecosistemici e incrementare così il capitale naturale, attraverso strategie economicamente più valide dei sistemi tradizionali.

 

Si rischia di investire grandi capitali in sistemi di verde che entreranno in stress tra pochissimi anni, neppure il tempo di un decennio, se non si applica la strategia adeguata.

 

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Martina Comparelli, attivista, portavoce di Fridays for Future per l’Italia e Alfonso Femia, al Padiglione Italia, Comunità Resilienti, all’evento Tempodacqua, il 13 luglio 2021. © Stefano Anzini

L’ACQUA REGALA TEMPO

Della necessità di guardare all’acqua legandola al cambiamento climatico è convinta Martina Comparelli, portavoce di Fridays for Future Italia.
Un messaggio forte e pieno di emozione quello di Martina che ha parlato delle opportunità che offre l’acqua, sintetizzandole in 5 punti:

 

  • Non si può parlare del nostro Pianeta senza parlare di acqua.
  • L’acqua è inclusa in tutti i nove limiti planetari che già stiamo superando.

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    Il diagramma, in continua evoluzione, messo a punto a partire dal 2009 da Rockström dà immediatamente u nquadro della situazione ambientale definita nove “confini planetari”.

  • L’acqua è protagonista della crisi sistemica che include gli aspetti socio-politici, della giustizia, dell’equità sociale, del diritto alla salute
  • La cura dell’acqua è una garanzia per il diritto a un futuro sicuro per chi avrà 40/50 anni nel 2050.
  • L’acqua è un tema di giustizia generazionale, geografica e sociale. Ci sono paesi che non hanno causato il cambiamento climatico, ma ne stanno già subendo le maggiori conseguenze.

 

Mettere in dubbio e farsi domande sull’architettura in relazione all’acqua e al clima è una premessa necessaria per il futuro.

 

Il pianeta si riscalda, ma l’acqua assorbe gran parte del calore, ci dà del tempo per capire che stiamo sbagliando e che dobbiamo trovare il modo per mitigare i danni.

 

Usiamo bene il tempo in più che l’acqua ci sta regalando.

 
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L’ACQUA DAL PUNTO DI VISTA DELLE CITTÀ

L’acqua è bene comune, elemento essenziale dell’habitat e dell’abitare, riferimento per l’antropizzazione, per la realizzazione dei contesti urbani e dell’architettura tutta. Ma è molto di più, condizione per la nascita e lo sviluppo delle città, ne sostiene l’evoluzione e ne costruisce l’identità, una sorta di limite valicabile e creativo.

Equilibrio urbano

Riflette alla scala urbana, Giovanni Multari, ordinario alla Federico II di Napoli.
Nelle città attraversate dai fiumi, l’acqua diventa risorsa e motore di pianificazione urbana: il fattore geografico e naturale si pone in una relazione molto forte con l’architettura e le costruzioni.

 

L’acqua ha sedimentato e creato i luoghi, è un riferimento che rende riconoscibile la formazione dei territori, connotandoli nella loro specificità d’approdo e di attraversamento.
Per questo è importante recuperare questo tipo di rapporto in una dimensione di equilibrio tra geografia e storia, passato e proiezione futura.

Rigenerazione urbana

Secondo Claudio Bertorelli, architetto paesaggista, l’acqua per l’architettura è una sfida irrisolvibile, perché è una materia in movimento. Ma è anche un grande indicatore progettuale motore di trasformazione dei paesaggi urbani. Il primo passo è quello di abbandonare la logica della separatezza tra presenza d’acqua e città. I fiumi possono e devono essere l’asse cardanico di rigenerazione delle città.

Integrazione urbana

Al momento, i fiumi urbani non sono protagonisti attivi.
L’architettura e la rigenerazione territoriali di laghi e fiumi, in area urbana, sono preziose per ristabilire una relazione tra uomo e acqua che si è persa nel tempo e che, in alcune città europee, Basilea, per esempio, si sta recuperando.
Per esempio, nella maggior parte dei fiumi delle città non si può fare il bagno: nella Senna, a Parigi, da quasi un secolo.
Per tornare a bagnarsi nell’acqua del fiume a breve, si parla di una data precisa, il 2024. Il primo passo è quello di ripulire la Senna e la Marna dalle acque reflue. E con questo obiettivo, tre anni fa è stato lanciato un “piano balneazione” da 1,4 miliardi di euro su scala Grand Paris.

 

Clément Willemin, architetto francese, ha elaborato una visione progettuale di sintesi che soddisfa l’esigenza scientifico-botanica di depurare le acque con le piante attraverso la soluzione architettonica di una piscina galleggiante che consente la fitodepurazione. Il progetto, brevettato, è declinabile in altri contesti ed è, infatti, stato proposto anche per il lago di Zurigo.
È possibile creare delle alternative interessanti per rendere più favorevole la relazione tra acqua e architettura. Per esempio, si potrebbero filtrare le acque residuali attraverso una relazione mediata tecnologicamente tra le acque grigie e il verde in facciata.
Willemin sta realizzando un prototipo di pannello di facciata che include questa funzione filtrante. L’acqua diventerebbe così parte integrante del dispositivo architettonico. Si tratta di riflessioni progettuali che hanno come fine quello di risolvere i conflitti tra esiti del cambiamento climatico, riduzione della risorsa acqua e salvaguardia della biodiversità.

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La Baignade Ecologique flottante. Progetto di Clèment Willemin + Verdiana Spicciarelli. Francia Ispirato all’architettura vernacolare, il primo bagnasciuga flottante, brevettato, si confronta con il problema dell’innalzamento della temperatura che interessa molte delle metropoli d’acqua a causa del cambiamento climatico.

Riattivazione urbana

Spesso, nelle città europee l’acqua è invisibile, tombata, artificialmente contenuta, costretta.

Andreas Kipar, architetto paesaggista studio Land, ha evidenziato come gli elementi dell’equazione espressi da Andrea Rucksthul – energia, bilancio, vita, valore – possano essere messi a sistema nell’architettura del paesaggio assumendo l’acqua come prima materia di progetto.

 

Già quarant’anni fa, quando ancora le ansie climatiche erano esordienti, Bruno Zevi diceva che era necessario liberarsi dall’eccesso di forma, dai confini, dalla staticità.
L’abuso dell’ordine e della staticità ha condotto a città dai corpi malati, asfittici, quasi sempre adagiate su un letto d’acqua nascosto.

 

Per elaborare nuove equazioni urbane, bisogna legare l’acqua al paesaggio e riscoprire le città nei loro aspetti invisibili, commutando la fantasia ingegneristica usata per tombare in un nuovo modello di ingegneria ecosistemica.

 

È proprio il modo di pensare che va modificato, un’evoluzione necessaria: da costruttori a coltivatori di processi in grado di garantire il futuro.
La nuova ingegneria ambientale deve mettere l’acqua al centro del progetto, trasformandolo in attivatore dello spazio pubblico. Se il paesaggio penetra in tutti gli aspetti urbani, le periferie si dissolvono spontaneamente, parte di un tutto in cui la contrapposizione tra centro e periferia diventa relazione.

Stupore urbano

L’acqua è una materia che produce stupore. Secondo Michelangelo Pugliese, architetto paesaggista, l’acqua dà sempre soluzioni inaspettate all’unisono con il paesaggio che, nel processo progettuale, rivela soluzioni che non erano state previste.
Non è un passaggio banale quello di assumere come punto di osservazione la quota zenitale, guardare il paesaggio dall’alto nelle sue intersezioni tra blu e verde. Questo consente di leggere come e quanto l’acqua stia plasmando le coste, i territori, le città.

 

Quando un luogo viene toccato dall’acqua non ritorna, è quasi sempre una trasformazione permanente e sono le comunità stesse alla ricerca dell’acqua che trasformano i luoghi. E questo accade particolarmente al Sud dove le risorse d’acqua sono poche ed è, comunque, complicato accedervi.
 

Ecosistema urbano

Cristina Martone, dottore in scienze naturali con master in landscape, che ha collaborato al progetto del Parco della Bassona a Cervia, parla dell’acqua sia come tema di progetto, sia come elemento di rigenerazione e di riscatto della fragilità del territorio. A Cervia, si sta lavorando sulla valorizzazione del verde e sulla rigenerazione del sito colpito da una tromba d’aria tre anni fa, nel 2019, proprio utilizzando i canali come elementi per ridefinire un ecosistema complesso.

 

 

PROTEGGERE L’ACQUA

Cambiamento climatico e inquinamento idrico in aumento hanno, di fatto, reso l’acqua una risorsa sempre più scarsa, anche dove c’è sempre stata ampia disponibilità.
Il suo uso spregiudicato sta accelerando l’acutizzarsi di situazioni critiche.

 

Arianna Azzellino, ingegnere ambientale al Politecnico di Milano, ha sottolineato la necessità di proteggere l’acqua dall’abuso.
L’esigenza di una gestione sostenibile si trasforma in urgenza, considerando che il 37,3 per cento dell’acqua immessa si perde e non arriva agli utenti finali (era il 39,0 per cento nel 2016), con ripercussioni finanziarie e ambientali di rilievo. Si tratta di un volume enorme, pari a 3,4 miliardi di metri cubi. Se assumiamo un consumo medio di 80 metri cubi annui per abitante, i 3,4 miliardi di metri cubi potrebbero soddisfare le esigenze idriche per un anno per più di 42 milioni persone.

 

Il rapporto Ecosistema Urbano 2021 a cura di Legambiente, di recente pubblicazione, ha messo in evidenza che le perdite della rete idrica restano stabili: il 36,1 per cento dell’acqua potabile non arriva ai rubinetti. In 19 città si disperde la metà o più dell’acqua immessa nelle condutture. Solo cinque capoluoghi contengono le perdite entro il 15 per cento: Macerata, Mantova, Milano, Pordenone, Trento. In tutti cresce, in parallelo, il valore medio dei consumi idrici domestici: 153,2 litri al giorno pro capite, un 3 per cento in più rispetto al 2019.

 

Sono, dunque, le infrastrutture il nuovo paradigma di valorizzazione dell’acqua attraverso le quali razionalizzare i prelievi e i consumi per le attività antropiche, prestando attenzione alla richiesta d’acqua da parte dell’ambiente, utilizzando i diversi tipi di acqua per collettamento reflui, trasporti, e usi ricreativi, considerando tutte le implicazioni sanitarie in un sistema di circolarità dell’acqua e di gestione integrata delle diverse risorse in funzione di qualità.

 

Le reti e le infrastrutture verdi e blu hanno grande importanza sia come moderatore microclimatico, sia per assorbire e trattenere maggiori quantità di acque piovane: diventano così fondamentali le piazze o aree verdi abbassate rispetto al livello stradale; le zone appositamente predisposte per garantire il deflusso delle acque piovane; il miglioramento delle reti di drenaggio urbano; la separazione tra le reti fognarie e la rete idrografica anche nel caso di fenomeni meteorici intensi.

 
Rispetto al riscaldamento e alle isole di calore, le infrastrutture verdi possono migliorare il raffrescamento utilizzando, quando possibile, le falde freatiche e i corpi idrici superficiali e sistemi per il recupero e riutilizzo delle acque piovane e grigie.

 

 

QUANTO VALE L’ACQUA

Che l’acqua abbia un valore, non è affatto scontato, soprattutto in questa parte di mondo, in Europa e nell’Occidente.
Partendo da questa riflessione, The European House – Ambrosetti ha deciso di avviare nel 2019 la Community Valore Acqua per l’Italia, una piattaforma multi-stakeholder dedicata alla gestione della risorsa acqua come driver di sostenibilità, competitività e sviluppo industriale, con l’obiettivo di presentare proposte al Governo.

 

Nicolò Serpella, Project Coordinator – Community Valore Acqua per l’Italia, ha focalizzato l’attenzione sulla situazione italiana: il 60 per cento delle infrastrutture idriche nazionale ha più di 30 anni e il 25 per cento ne ha più di 50. Quasi metà dell’acqua viene dispersa, il doppio della media europea. È questo il risultato di decenni di investimenti mancanti o inadeguati.

 

Le differenze nel tasso di investimenti sono legate anche alle differenze di costo: l’Italia si colloca nella seconda metà della classifica europea, con una tariffa pari a 2,08 Euro/m3, la metà di quella francese (4,03 Euro/m3).
Una tariffa contenuta rischia di deresponsabilizzare il consumo; e, infatti, l’Italia utilizza tantissima acqua, con 153 m3 prelevati per uso potabile per ogni abitante all’anno è il secondo Paese dell’Unione Europea, due volte la Francia e quasi tre volte la Germania.

 

Questo non significa che l’acqua debba diventare più costosa, resta, infatti, necessario garantirne la sostenibilità economica per le famiglie. Sarebbe sufficiente un incremento minimo delle tariffe nell’ordine di pochi centesimi per aggiornare le infrastrutture e ridurre, per esempio, gli sprechi causati dalla loro obsolescenza.

 

Il valore dell’acqua si misura anche sulla rilevanza economica: la filiera dell’acqua attiva una catena del valore “lunga” che include settore agricolo, industrie manifatturiere “idrovore”, settore energetico, ciclo idrico integrato, provider di tecnologia e software e fornitori di macchinari e impianti, complessivamente genera 310,4 miliardi di euro di valore aggiunto: il 17,5 per cento del Pil italiano non potrebbe essere generato senza la risorsa acqua.
 

L’innesto progettuale tra acqua e architettura è essenziale per la stabilizzazione dei quattro pilastri che concorrono all’efficienza idrica in una visione integrata con le aziende pubbliche: la razionalizzazione dell’acqua, il riuso e il riciclo, la razionalizzazione dell’acqua di scarico non recuperabile e il monitoraggio del consumo idrico.

 

L’ACQUA È UN TEMA POLITICO MA NON INTERESSA ABBASTANZA ALLA POLITICA

Ripassiamo ancora una volta numeri già noti: sono quattro miliardi le persone che vivono in condizioni di grave scarsità fisica per la carenza d’acqua per almeno un mese l’anno e circa un quarto della popolazione mondiale si trova in condizione di scarsità economica d’acqua cioè non ha a disposizione infrastrutture di accesso all’acqua, sia per l’uso domestico, sia per i servizi igienico-sanitari.

 

In una modellazione basata sull’attuale rialzo delle temperature, si prevede che entro il 2050, il 52 per cento della popolazione mondiale vivrà in regioni soggette a stress idrico (a meno che non si contenga, realmente, l’innalzamento della temperatura planetaria entro 1,5 gradi).
Negli ultimi 20 anni, il 74 per cento delle catastrofi sono state correlate all’acqua e le persone danneggiate sotto il profilo economico sono state tre miliardi.

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Il Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” viene elaborato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), che si occupa del monitoraggio del territorio e del consumo di suolo.

 

Marirosa Iannelli, president of Water Grabbing Observatory, Advocacy Coordinator of Italian Climate Network, Environmental project manager che ha seguito i lavori di Youth4Climate di settembre, a Milano, ha focalizzato alcuni punti essenziali.
Se la dimensione economica del problema acqua è evidente, la sua riduzione è scientificamente possibile attivando interventi su più fronti e compatibilmente al rispetto degli impegni NDCs – Nationally Determined Contributions.

Come già abbiamo visto, sono due le azioni attraverso le quali si affronta il cambiamento climatico: la mitigazione e l’adattamento. In particolare, l’adattamento lavora sul problema dello stress idrico e degli impatti sugli ecosistemi, sulle persone in molte parti del mondo.
Per l’adattamento i Paesi emettitori stanziano dei fondi anche a favore dei Paesi meno inquinanti, in una visione globale di compensazione delle emissioni.

 

Più complesso affrontare il tema loss and damage: come ha spiegato Vanessa Nakate, rappresentante ugandese a Youth4climate: non ci può adattare, infatti, alla perdita della storia, degli ecosistemi, della biodiversità.
Ciononostante, nelle occasioni politico-negoziali non si parla a sufficienza dei temi correlati all’acqua, della gestione della risorsa, della scarsità che sta ormai sfociando in crisi idrica.

 

All’acuirsi progressivo e rapido del problema non corrisponde una presa di coscienza politica e questo accade perchè le manifestazioni estreme dell’acqua vengono lette come problemi locali, di alcune parti del mondo.

 
È necessario comprendere che si tratta di un problema globale e trasversale.
La politica sta cominciando ora, con un ritardo drammatico, a coglierne la dimensione non per etica, ma per la cognizione del danno economico che genera.

 

I NONSENSE POLITICI PER L’ACQUA

In relazione all’acqua, il rapporto della World Metereological Organization WMO ha descritto un pianeta prossimo a raggiungere situazioni estreme inconciliabili con la sopravvivenza umana, se non al prezzo di enormi compromessi per la qualità di vita.

 

Mentre per le emissioni di carbonio si mettono scadenze, provando ad accorciare i tempi verso zero carbon il più possibile, per quanto riguarda l’acqua non si guarda il calendario, non sono stati fissati obiettivi specifici, né sui prelievi, né sull’inquinamento, né dal punto di vista dei governi, né dal punto di vista dei privati. Come se non fossero aspetti del medesimo problema.

Alla COP26 l’organizzazione metereologica Mondiale WMO ha lanciato la Water and Climate Coalition per coordinare l’azione sull’acqua e il clima e il Systematic Observations Financing Facility per migliorare le osservazioni e le previsioni meteorologiche e climatiche, fondamentali per l’adattamento ai cambiamenti climatici. L’obiettivo complessivo è quello di mettere a punto una condivisione tra tutti i Paesi sulla gestione della risorsa idrica.

 

La raccomandazione espressa dalla Water and Climate Coalition è che le questioni idriche vengano integrate con quelle climatiche in un’azione congiunta, e non in modo separato, come sta avvenendo.

 

L’agenda per il cambiamento climatico si deve trasformare in agenda per clima+acqua.

 

Abbiamo chiesto a Ferdinando Cotugno, all’indomani della chiusura della Conferenza, in che termini la politica mondiale affronta il problema acqua.

 

“Questa edizione della COP è stata poco scientifica e “molto politica”, una grande negoziazione finalizzata alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti. – ha spiegato Cotugno – è un dato preoccupante, perché indica una visione a tunnel, legata praticamente solo all’atmosfera e all’energia, che trascura qualsiasi altro aspetto.

La COP26 si è praticamente trasformata in una conferenza sull’energia.

 

Si è parlato poco e, soprattutto in termini poco concreti, sia di acqua, sia di cibo. Considerando la stretta relazione che esiste tra tutti gli aspetti che concorrono a determinare il climate change, non c’è giustificazione per questa omissione che determina, come conseguenza derivata, un’amplificazione della fragilità planetaria.
La complessità di intervenire sul tema acqua spinge a escluderla dall’agenda politica per incapacità di affrontarla e mancanza di strumenti efficaci.

 

Si è parlato di finanza per il clima, ma si è pensato di destinare solo il 3 per cento per l’acqua, un valore insufficiente considerandone il peso nell’economia di gestione ambientale del pianeta.
Eppure, il problema è grave, anche nei paesi occidentali. Negli Stati Uniti la crisi idrica è già drammatica e anche in Italia è affatto trascurabile.
Immagino che quando la risorsa acqua sarà estremamente limitata, allora si comincerà a discuterne seriamente (in emergenza estrema, quindi).

 

Per la politica, l’acqua è metafora e insieme risorsa per l’emergenza. Un nonsense.

 

Non è semplice comprendere quali possano essere i percorsi da intraprendere su un tema di così grande complessità progettuale: sicuramente la responsabilità e la generosità delle scelte e delle decisioni devono guidare in maniera chiara il presente per il prossimo futuro. Al momento, non si intravede nessuna politica responsabile, né attenzione a ricercare un equilibrio che sostenga le azioni nel tempo.

 

 

 

– In apertura, Venezia, luglio 2021, fotografia di Stefano Anzini –