Journal-GENDER-EQUALITY-Miralles-Tagliabue-REAL

Architettura, urbanistica, sicurezza, gender equality: non sono argomenti disgiunti, ma spesso viaggiano su file parallele che non si incontrano. Eppure, abbiamo gli strumenti per cambiare le nostre città

di INSIDETHEWHALEAF517 - 1 Dicembre 2020

Il 25 novembre è stata la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Ricorre da 21 anni, cioè da quando, nel 1999, le Nazioni Unite scelsero questa data in memoria di tre attiviste politiche domenicane, uccise, nel 1960, dal dittatore di turno a quell’epoca, Trujillo.

Da Wikipedia: “Quel giorno le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.”

 

Il rapporto tra città e vulnerabilità è uno dei punti essenziali della lotta contro la violenza sulle donne. L’attuale geografia delle città influisce profondamente sulla libertà e sulla sicurezza delle donne, delle minoranze e dei poveri e determina contesti in cui si possono più facilmente amplificare le diseguaglianze di genere.

Se n’è occupata la Banca Mondiale in un documento pubblicato a febbraio di quest’anno “Handbook for Gender-Inclusive Urban Planning Design”, nel quale individua sei ambiti discriminanti per le donne, le minoranze sessuali di genere, di età e abilità: l’accesso libero a servizi e spazi pubblici; la possibilità di spostarsi in città in modo sicuro, semplice e conveniente; la sicurezza e libertà dalla violenza, cioè da pericoli reali e percepiti nella sfera pubblica e privata; la garanzia di condurre uno stile di vita attivo, privo di rischi per la salute; la capacità di reagire e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico: la sicurezza di accesso e possesso di abitazione, lavoro e della libertà d’azione.

 

Come ha rivelato uno studio della Cornell University (citato in un articolo da Vice), in Italia una donna su tre dichiara di essere stata vittima di molestie e l’88 per cento delle donne italiane intervistate ha detto di aver cambiato percorso per tornare a casa in seguito a molestie subite in strada

Gender Equality Infografica Cornell

L’indagine della Cornell University sulle molestie sessuali nel mondo. Nell’infografica la situazione in Europa e in Italia.

Della natura sessista dei luoghi e degli edifici, si è occupata Leslie Kern, ricercatrice dell’università Mount Allison, in Canada, autore del libro “Feminist City”. La Triennale di Milano l’ha ospitata lo scorso mese di luglio per una lecture sul tema e, alla fine di ottobre, durante il Festival “Utopian Hours” a Torino, dedicato al tema “The City at Stake” ha offerto il suo contributo on line. In Italia hanno parlato del suo libro (con riferimento alla stampa generalista) il Corriere della Sera (ne’ La Lettura del 26 luglio e in 27ora del 22 ottobre) e Il Fatto Quotidiano oltre a qualche citazione in magazine on line.
The Guardian ha presentato il libro in un pezzo dal titolo provocatorio e molto forte, traducibile in “Palazzi eretti verso l’alto che eiaculano nel cielo”, firmato dalla stessa Kern.

journal-screenshot-The-Guardian

L’articolo di Leslie Kern in The Guardian del 6 luglio 2020

 

Raramente si parla del paesaggio urbano come elemento che provoca disuguaglianza di genere. Di per sé gli edifici non sono sessisti, geometria ed elevazioni contemporanee attengono alla tecnologia dei materiali e alla progettazione parametrica. La tensione storica orientata alla costruzione delle torri ha più origini di ricerca del soprannaturale che di simulazione fallica.
Ma è vero che, in termini più ampi, passando dall’architettura dell’edificio all’ambiente costruito nel suo insieme, le città sono l’esito dei pensieri, dei comportamenti e delle norme sociali e sono, dunque, anche “patriarcati scritti in pietra, mattoni, vetro e cemento”.
Il tema dei grattacieli, degli obelischi e degli ziggurat è (se lo è) un capitolo irrilevante della scrittura discriminatoria del territorio che, per una configurazione urbanistica dipendente da fattori diversi – non necessariamente o non solo maschilisti – pone, però, barriere e difficoltà per le donne madri, pericoli per le donne single, inadeguatezze e mancanza di luoghi “a misura” per le donne.

La Kern afferma che, nonostante questa dichiarata misoginia, le città restano una straordinaria opportunità: il libro “Feminist City: claiming Space in a Man-Made World” da una parte analizza le lacune urbane che generano paura e creano difficoltà per situazioni quali la maternità e l’amicizia, dall’altra immagina, in termini positivi, come potrebbero trasformarsi. Sviluppa la sua analisi storica sulla realtà urbana del Regno Unito e dell’America, con riferimenti alla letteratura di Dickens e prendendo a opportuno prestito la citazione di Engels: “Persino Friedrich Engels temeva che le donne che lavoravano fuori casa rappresentassero un disagio troppo grande per la società.”, ma non è un esercizio difficile individuare esempi di territorio ostile (spostando l’attenzione da populiste e lombrosiane attribuzioni di causa) attraverso la cronaca nera nazionale di Milano o Roma, ma anche di città più piccole, disegnate e, purtroppo, ridisegnate e aggiornate sempre e solo “a misura d’uomo” e aggiungiamo d’uomo forte e perfetto. La vulnerabilità non viene mai presa in considerazione, indipendentemente dal sesso.

In quasi tutto il mondo occidentale, si replicano le stesse logiche urbane discriminatorie, eccezion fatta (forse) per alcune città del nord Europa.
Come deve essere il modello di città “a misura di donna”?
La Kern spiega come la condivisione del medesimo obiettivo tra urbanisti, architetti e politici sia un fattore determinante e restituisce con esempi concreti la sua tesi: nel quartiere Aspern di Vienna, tutte le strade e gli spazi pubblici prendono il nome dalle donne; a Tokyo, i treni hanno carrozze riservate in orari particolari a donne, disabili, bambini e accompagnatori; a Kigali, la capitale del Ruanda, le donne venditrici di strada hanno visto migliorare la loro sicurezza e le loro prospettive economiche con la costruzione di mini-mercati sicuri e permanenti che includono spazio per l’allattamento al seno; a Stoccolma, gli orari degli spazzaneve danno priorità a strade residenziali, zone scolastiche, trasporti pubblici e piste ciclabili.
Non sono grandi trasformazioni, ma indicano l’orientamento civico al rispetto.
La conclusione della Kern è semplice: la pandemia ci ha mostrato che la società può essere riorganizzata radicalmente, se necessario e, dunque, questa potenzialità può essere finalizzata anche al ripensamento di una città non sessista.

 

Il tema delle woman friendly cities è stato lanciato alla conferenza delle Nazioni Unite UN Habitat III nell’ottobre 2016 e diffusa al World Urban Forum due anni dopo. L’idea è quella di accogliere i contributi di governi, società civile, settore privato e mondo accademico per condividere la conoscenza, ispirare l’innovazione, migliorare il networking per rendere le città eque, inclusive, sostenibili per tutti. Esiste anche un indice di riferimento Index Woman Friendly per classificare i Paesi e le città, in base ai parametri  economici, sociali e personali che rispondono alle esigenze delle donne.
Ciononostante, il ripensamento dell’urbanistica dal punto di vista femminile è un passaggio affatto scontato per la Pubblica Amministrazione, almeno in Italia.
Ma è un’italiana – Sara di Marco insieme alla spagnola, Ohiane Ruiz Menendez,  – che sta portando avanti un progetto di urbanistica femminista nel comune di Brighton nel Regno Unito. Nell’intervista rilasciata al magazine D di Repubblica (nell’ottobre dello scorso anno) la Di Marco ha spiegato come l’analisi sulla città debba partire da una visione complessiva che abbandoni la logica funzionale e di pertinenza geografica (centro, semicentro, periferia), per integrare nel progetto complessivo le esigenze di chi vive la città, al di fuori della prevalente funzione produttiva e commerciale.
Vienna con il progetto Woman Work City e Stoccolma con il quartiere Husby testimoniano che si può fare.
L’obiettivo è quello di progettare luoghi in cui ogni donna si senta prima di tutto libera di muoversi a qualsiasi ora del giorno e della notte senza aver paura, di svolgere il proprio lavoro e le proprie attività personali.

 

Particolarmente esemplificativo l’approccio di Jeanne Gang che, nell’ambito del piano d’azione per la sicurezza di New York, ha preso in esame come la progettazione possa aiutare le città a migliorare l’incolumità e il benessere nei quartieri.
La ricerca è stata sviluppata da Studio Gang in collaborazione con l’Ufficio della Giustizia Penale del Sindaco, il Dipartimento di Polizia di New York City e il Dipartimento di progettazione e costruzione di New York. Si tratta di Linee Guida sulla progettazione urbana e sull’architettura relative alla prevenzione della criminalità in due quartieri, Brownsville a Brooklyn e Morrisania nel Bronx.
Il dialogo con i cittadini, le istituzioni pubbliche, le imprese, gli esperti di giustizia penale, gli specialisti della salute mentale e molti altri interlocutori, le indagini approfondite sul sito sono stati il presupposto per costruire un progetto mirato a luoghi specifici: stazioni di polizia, parchi, biblioteche, strade, stazioni di transito e altre parti dell’ambiente costruito da utilizzare come mezzo per sfruttare la pianificazione e gli investimenti di capitale come strategia per ridurre la violenza e migliorare la qualità della vita alla scala di quartiere.

Studio Gang Ricerca

Dal sito di Jeanne Gang lo studio per il Mayorʼs Office of Criminal Justice Neighborhood Activation Study che prende in esame la sicurezza nei quartieri di New York.

 

La gender equality è un aspetto ugualmente trascurato nelle azioni di contrasto al cambiamento climatico. Il tema in strettissima relazione con quello dell’architettura e della pianificazione urbana viene indagato, analizzato, narrato sotto molteplici prospettive: scientifiche, territoriali, visive, culturali e sociologiche. Si parla di migrazioni climatiche con i conseguenti esiti sulla geografia urbana di tutti i paesi. Ma se è evidente che gli effetti del cambiamento climatico non fanno differenze tra uomini e donne e neppure tra specie diverse, è altrettanto evidente la maggiore vulnerabilità delle donne (dei bambini e di tutte le fasce più esposte della popolazione) in circostanze ambientali avverse.
La convenzione quadro delle Nazioni Uniti sui cambiamenti climatici Unfcc si è posta l’obiettivo sia di assicurare che programmi di adattamento non accentuino diseguaglianze di genere e vulnerabilità, sia di contribuire a garantire un adattamento efficace e concretamente attuabile. Anche UnWoman (United Nations entity dedicated to gender equality and the empowerment of women) ha riconosciuto che le donne sono vulnerabili in maniera sproporzionata rispetto agli effetti dei disastri naturali e del cambiamento climatico nei contesti in cui i loro diritti e il loro status socio-economico non sono uguali a quelli degli uomini e che rimediare a questa disuguaglianza e, dunque, investire sull’emancipazione delle donne è un contributo fondamentale per la costruzione della resilienza climatica; infine, che i percorsi di riduzione delle emissioni possono essere molto più efficaci ed equi se, nella loro progettazione, viene utilizzato un approccio che integra una prospettiva di genere – il che significa anche che un numero maggiore di donne deve essere presente negli organi nazionali e globali deputati a prendere decisioni su questo tema.

Banca Mondiale per la Gender Equality

Tweet della Banca Mondiale per la presentazione dell’Handbook for Gender Inclusive Urban Planning and Design.

 

La parità di genere è una questione complessa che cerca nella sinergia e nel confronto di professionalità e sensibilità attente, più che nella conta delle quote rose, il seme generativo di un vero equilibrio per l’architettura.

 

Immagine d’apertura: Chinatrust Tower a Taichung, Taiwan. Progetto di Miralles Tagliabue EMBT. Fotografia Yo Chen Tsao. Benedetta Tagliabue è una delle protagoniste dell’architettura internazionale.